I fondi di solidarietà assicurano un assegno ordinario nei casi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa per cause previste dalla normativa in materia di integrazione salariale. In particolare, i fondi bilaterali, oltre alla possibilità di erogare prestazioni integrative di CIG e di disoccupazione e di contribuire al finanziamento di programmi formativi, possono prevedere anche assegni straordinari di sostegno al reddito ai lavoratori che raggiungano i requisiti previsti per pensionamento di vecchiaia o anticipato al massimo entro 5 anni (in altre parole prepensionamenti fino a 5 anni).
Ma quanto costa allo Stato questa forma di flessibilità in uscita e quanto incide sul reddito dei lavoratori questa soluzione?
Tutti gli oneri di finanziamento dei fondi di solidarietà sono coperti dal versamento di una contribuzione ordinaria, di regola lo 0,5% della retribuzione dei lavoratori, di cui 2/3 a carico del datore di lavoro e 1/3 a carico dei lavoratori, e da più contribuzioni addizionali a totale carico del datore di lavoro.
Occorre specificare che i fondi, per espressa disposizione di legge, possono erogare prestazioni solo nei limiti delle disponibilità del proprio bilancio (che per obbligo deve essere in pareggio). In aggiunta, anche gli oneri per il funzionamento di questi fondi, compresi quelli che l’INPS deve sostenere per la loro gestione, sono a totale carico di ciascun fondo.
In sintesi, i fondi di solidarietà rappresentano una valida soluzione di flessibilità in uscita con penalizzazioni di reddito poco rilevanti per i lavoratori e a costo (quasi) zero per lo Stato.
Solo in via transitoria per il periodo 2017-2019, la Legge di Bilancio 2017 ha previsto un concorso dello Stato agli oneri sostenuti dai fondi di solidarietà